Oltre trenta assunzioni in odore di mafia. Scorrendo le quali si può ricostruire la geografia di controllo del territorio esercitata dai di...
Oltre trenta assunzioni in odore di mafia. Scorrendo le quali si può ricostruire la geografia di controllo del territorio esercitata dai diversi clan del Salento e del Brindisino. E, così, comprendere meglio perchĂ© la prefettura abbia deciso di firmare l'interdittiva antimafia per Gial Plast e, nelle carte, di evidenziare come fra i delitti spia del condizionamento mafioso di un'impresa abbiano assunto «particolare importanza i reati ambientali», visto «il crescente interesse delle associazioni criminali alla gestione del territorio, delle risorse energetiche e dei rifiuti».
Il prefetto Maria Teresa Cucinotta ha cancellato Gial Plast dalla white list delle imprese che possono fornire beni e servizi alle pubbliche amministrazioni, come avviene ogni qual volta un'azienda sia colpita da interdittiva. E nelle prossime ore, di concerto con l'Anticorruzione, provvederĂ a nominare i commissari che dovranno gestire l'azienda e garantire ai Comuni interessati la raccolta dei rifiuti.
Mentre i legali dell'azienda, Luigi Quinto e Michele Bonsegna, annunciano il ricorso al Tar contro la prefettura e per l'annullamento dell'interdittiva e il licenziamento di tutti i lavoratori finiti sotto la lente del prefetto, iniziano a circolare le prime indiscrezioni sul provvedimento firmato da Cucinotta. Una corposa istruttoria che contiene le motivazioni dell'interdittiva e che elenca profili e storie giudiziarie di amministratori e lavoratori di Gial Plast. A partire da quella del vicepresidente del Consiglio di amministrazione e socio di maggioranza (in passato amministratore unico) di Gial Plast, Martino Lacatena, imputato in vari procedimenti penali davanti ai tribunali di Lecce, Brindisi e Foggia, per corruzione, gestione e traffico illecito di rifiuti. Uno di essi si è chiuso, nel 2016, con un non luogo a procedere per intervenuta prescrizione. Gli altri sono ancora in piedi. Fra questi, c'è anche quello nato dall'inchiesta che travolse il Comune di Cellino San Marco, nel Brindisino, e ne provocò lo scioglimento per mafia. Gial Plast fu coinvolta nell'inchiesta e, in seguito, nel processo per i presunti rapporti dell'impresa con politici collusi, ai quali sarebbero stati garantiti denaro e assunzioni di amici in cambio di appalti.
Nell'azienda con sede a Taviano, per il prefetto Cucinotta, vi era una «pervasiva ed estesa penetrazione di personaggi legati o ai vertici delle associazioni mafiose». Personaggi verso i quali Gial Plast aveva un «atteggiamento accomodante» al punto da lasciare che il rapporto di lavoro si interrompesse sempre per «intervenuta scadenza naturale del contratto a termine». Non solo.
Sotto la lente della prefettura e del Gruppo Interforze Antimafia sono finiti anche i rapporti d'affari e societari che l'impresa salentina aveva con altre aziende destinatarie di interdittive antimafia, dalla Cassambiente Spa di Bari alla Navita srl di Modugno, costituita al 20% dalla Ariete societĂ cooperativa di produzione e lavoro, anch'essa raggiunta da interdittiva antimafia.
A mettere il carico da 90 all'istruttoria che gli avvocati Michele Bonsegna e Luigi Quinto cercheranno di smantellare davanti ai giudizi amministrativi, l'elenco dei dipendenti in odore di mafia. Fra questi, Massimiliano Scialpi, condannato associazione mafiosa e lavoratore Gial Plast dal luglio 2017 al dicembre 2018; Daniele Natali, giĂ condannato per mafia, omicidio e detenzione illegale di armi e ritenuto affiliato al clan Padovano di Gallipoli. Così come sono ritenuti affiliati al clan Giuseppe Carroccia; Luigi, Salvatore e Gabriele Cardellini, Oscar Di Bernardo, Damiano Scigliuzzo Trianni e Roberto Cortese. Dei dipendenti Gial Plast faceva parte anche Antonio Coronese, segnalato nell'operazione Coltura dei carabinieri come «persona integrata o contigua al clan Giannelli» di Parabita. E, ancora, Antonio Preite, fratello di Pasquale esponente di spicco del clan Scarcella di Ugento e con precedenti per reati contro il patrimonio. Fino all'arresto, ha lavorato per l'azienda anche Giuseppe Corrado, ritenuto affiliato al clan Montedoro.
Gli affari della Gial Plast, inoltre, si estendono anche al di fuori della provincia di Lecce, raggiungendo la vicina Brindisi e Foggia. Nel Brindisino, lavorava Giuseppe Zurlo, figlio di Vincenzo e ritenuto affiliato all'omonimo sodalizio criminale e Antonio Natola, di Fasano, considerato membro del clan Prudentino.
P.Anc.
by via quotidianodipuglia.it - Home
Il prefetto Maria Teresa Cucinotta ha cancellato Gial Plast dalla white list delle imprese che possono fornire beni e servizi alle pubbliche amministrazioni, come avviene ogni qual volta un'azienda sia colpita da interdittiva. E nelle prossime ore, di concerto con l'Anticorruzione, provvederĂ a nominare i commissari che dovranno gestire l'azienda e garantire ai Comuni interessati la raccolta dei rifiuti.
Mentre i legali dell'azienda, Luigi Quinto e Michele Bonsegna, annunciano il ricorso al Tar contro la prefettura e per l'annullamento dell'interdittiva e il licenziamento di tutti i lavoratori finiti sotto la lente del prefetto, iniziano a circolare le prime indiscrezioni sul provvedimento firmato da Cucinotta. Una corposa istruttoria che contiene le motivazioni dell'interdittiva e che elenca profili e storie giudiziarie di amministratori e lavoratori di Gial Plast. A partire da quella del vicepresidente del Consiglio di amministrazione e socio di maggioranza (in passato amministratore unico) di Gial Plast, Martino Lacatena, imputato in vari procedimenti penali davanti ai tribunali di Lecce, Brindisi e Foggia, per corruzione, gestione e traffico illecito di rifiuti. Uno di essi si è chiuso, nel 2016, con un non luogo a procedere per intervenuta prescrizione. Gli altri sono ancora in piedi. Fra questi, c'è anche quello nato dall'inchiesta che travolse il Comune di Cellino San Marco, nel Brindisino, e ne provocò lo scioglimento per mafia. Gial Plast fu coinvolta nell'inchiesta e, in seguito, nel processo per i presunti rapporti dell'impresa con politici collusi, ai quali sarebbero stati garantiti denaro e assunzioni di amici in cambio di appalti.
Nell'azienda con sede a Taviano, per il prefetto Cucinotta, vi era una «pervasiva ed estesa penetrazione di personaggi legati o ai vertici delle associazioni mafiose». Personaggi verso i quali Gial Plast aveva un «atteggiamento accomodante» al punto da lasciare che il rapporto di lavoro si interrompesse sempre per «intervenuta scadenza naturale del contratto a termine». Non solo.
Sotto la lente della prefettura e del Gruppo Interforze Antimafia sono finiti anche i rapporti d'affari e societari che l'impresa salentina aveva con altre aziende destinatarie di interdittive antimafia, dalla Cassambiente Spa di Bari alla Navita srl di Modugno, costituita al 20% dalla Ariete societĂ cooperativa di produzione e lavoro, anch'essa raggiunta da interdittiva antimafia.
A mettere il carico da 90 all'istruttoria che gli avvocati Michele Bonsegna e Luigi Quinto cercheranno di smantellare davanti ai giudizi amministrativi, l'elenco dei dipendenti in odore di mafia. Fra questi, Massimiliano Scialpi, condannato associazione mafiosa e lavoratore Gial Plast dal luglio 2017 al dicembre 2018; Daniele Natali, giĂ condannato per mafia, omicidio e detenzione illegale di armi e ritenuto affiliato al clan Padovano di Gallipoli. Così come sono ritenuti affiliati al clan Giuseppe Carroccia; Luigi, Salvatore e Gabriele Cardellini, Oscar Di Bernardo, Damiano Scigliuzzo Trianni e Roberto Cortese. Dei dipendenti Gial Plast faceva parte anche Antonio Coronese, segnalato nell'operazione Coltura dei carabinieri come «persona integrata o contigua al clan Giannelli» di Parabita. E, ancora, Antonio Preite, fratello di Pasquale esponente di spicco del clan Scarcella di Ugento e con precedenti per reati contro il patrimonio. Fino all'arresto, ha lavorato per l'azienda anche Giuseppe Corrado, ritenuto affiliato al clan Montedoro.
Gli affari della Gial Plast, inoltre, si estendono anche al di fuori della provincia di Lecce, raggiungendo la vicina Brindisi e Foggia. Nel Brindisino, lavorava Giuseppe Zurlo, figlio di Vincenzo e ritenuto affiliato all'omonimo sodalizio criminale e Antonio Natola, di Fasano, considerato membro del clan Prudentino.
P.Anc.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
by via quotidianodipuglia.it - Home
COMMENTS